Montechiarugolo – I GIARDINI MURATI DEL CASTELLO

Tra merli ghibellini e peonie arbustive

a cura di Gottardo Bonacini

Dopo l’Unità d’Italia, Antonio Marchi, avo degli attuali proprietari, acquista il castello alienato dal Demanio. In quegli anni iniziano i lavori di ripristino e riqualificazione del maniero, danneggiato dalle guerre e dal cambiamento di funzione: durante il regno di Maria Luigia vi era stata  insediata anche una fabbrica di polveri da sparo. Man mano che i lavori proseguono, interrotti dai conflitti bellici, il castello inizia ad assumere  l’attuale aspetto e funzione di residenza con interventi che riguardano l’intera area delimitata  dall’originale cinta muraria dal fronte delle valle dell’Enza  sino all’attuale Piazza Mazzini dove il castello è contrassegnato col civico 1.

Penso sia doveroso sottolineare come la proprietà si impegnò a 360° fin dall’inizio per finanziare il restauro e arricchire il sito acquisendo inoltre sul territorio importanti arredi e opere d’arte come il corredo esistente di statue settecentesche provenienti dalla Reggia di Colorno che i Marchi acquistarono impedendo che finissero danneggiate dalle bombe e dalle esplosioni o semplicemente trasferite altrove, sorte che toccò ai tantissimi gioielli che facevano parte della reggia che ebbe con Napoleone il titolo di Palazzo Imperiale .

La poderosa cinta muraria esterna, costruita a difesa di tutto il borgo viene poi abbattuta alla fine dell’800, sorte comune ai molti siti fortificati nel nostro paese, a Montechiarugolo viene soppressa anche l’antica porta d’ingresso.

Qui è senz’altro doverosa una precisazione: nulla attorno disturba il paesaggio naturale, la vista dall’elegante loggiato quattrocentesco spazia sulla valle dell’Enza sino alle colline reggiane senza imbattersi in offensivi ostacoli,  altrettanto dai belvedere che si trovano nel giardino d’accesso e da quelli del Castellazzo. Anche il maniero visto dalla riva opposta si integra nel paesaggio circostante; quando un monumento architettonico può contare su questo elemento di rispetto acquista un valore aggiunto di notevole importanza, imprescindibile per la percezione del sito. Le amministrazioni che hanno istituito il Parco Naturale della Val d’Enza  e il Fai che lo ha inscritto tra i Luoghi del Cuore lo hanno sicuramente salvaguardato da un possibile degrado.

Il giardino che attraversiamo dal cancello per arrivare al ponte sul fossato, occupa una vasta area cintata da mura poderose, realizzate per la difesa e il controllo dei rivellini d’accesso alla fortezza.

Osservando attentamente la bella pianta storica, databile intorno al 1690 che rappresenta nel dettaglio il complesso fortificato con i  suoi i contrafforti e le mura turrite, tra le quali spicca l’impianto ancora rinascimentale dell’urbanistica del borgo; possiamo immaginare come nelle cronache del tempo questo maniero potesse essere un luogo temuto da nemici e avversari per la sua potenzialità di difesa.

Ma torniamo all’analisi della citata rappresentazione iconografica,  mista tra planimetria ed alzato, con il corso del torrente che si avvicina alla rocca formando pure un approdo, notiamo tre ambiti distinti ancor oggi esistenti con  differenti funzioni. Contigua ma esterna al fossato ci mostra inoltre, una porzione minore, sempre cintata e fortificata, dove sono disegnate parcelle tra loro ortogonali: queste probabilmente coltivate più ad orto che a giardino segreto, assicuravano in caso di assedio una riserva alimentare alle cucine del maniero. Questa zona che si trova sul terrazzamento superiore,  antico camminamento di ronda, era sicuramente integrata con vigne e alberi da frutto dove anche oggigiorno si trovano i filari di vite con i grappoli pronti a maturare.  

Discesi nuovamente alla quota d’ingresso non può che stupirci il rigoglioso parterre con aiuole disegnate da doppie siepi di bosso, colorate dalle cromie delle rose che vi crescono all’interno, dalle spettacolari fioriture delle bignomie nella varietà Campsis “Madame Galen”, dai secolari alberi di Cedrus deodara che donano un aspetto romantico al giardino come decretava la moda paesaggistica del tempo, dai Taxus baccata, amati per le loro fronde sempreverdi e per il filtro con l’esterno a tutela della privacy.

Percorsi curvilinei delimitati da rocce conducono ai limiti di questo primo giardino senza farli percepire distintamente, oppure accompagnano nella salita al belvedere verso la valle dell’Enza o ai resti della limonaia realizzata in vetro e muratura, caratterizzata dalla doppia apertura neogotica; qui si avvolge una pianta insolita, rampicante e dalle foglie lucide e cerose, conformate a mano, proveniente dall’Estremo Oriente ma resistente al freddo. Akebia quinata: ha una crescita rapida, vigorosa e una generosa fioritura primaverile di colore marrone-porpora, leggermente profumata.

Ma quello che fa di questo primo giardino un unicum,  il punto di forza, sono le alte peonie arbustive “Duchesse de Morny”, ibrido francese della fine del XIX secolo. Esemplari insoliti per altezza e vetustà diventano tra maggio e giugno romantici fondali nei punti di fuga prospettica dietro le antiche statue, che rappresentano gli dei dell’Olimpo o impersonano  classiche allegorie. Questa peonia profumata ha un fiore doppio particolarmente grande e ricco di petali, dal colore rosa che all’interno vira nella tonalità del lavanda.

Dedicata alla Duchessa di Morny, nata principessa in Russia, probabilmente figlia dello Zar Nicola II, va in sposa all’ambasciatore di Francia, Charles Duca de Morny, fratellastro di Napoleone Terzo, sulle scelte politiche del quale ebbe notevole peso. Preferita tra le dame di compagnia dell’imperatrice Eugenia, si dice che le fu di grande aiuto quando l’unico figlio Luigi Bonaparte morì in un agguato in Sudafrica.

Oltrepassato il rivellino e il ponte sopra il fossato si entra nel cortile d’onore del castello, anche questo curato a giardino sin da quando la famiglia Marchi si insediò. Le trifore neogotiche che accolgono ai davanzali vasi di gerani ricadenti, protetti dal sole da un singolare cannucciato, e i rosai sarmentosi allevati sui muri, come la rosa “Mermaid” dai fiori di un giallo delicato ma dalle feroci spine, donano al contesto un’atmosfera anglosassone. Anche qui le preziose statue, sempre provenienti dalla Reggia di Colorno,  diventano i personaggi di una colta rappresentazione teatrale, mentre le palle in pietra dei cannoni disposte a piramide, richiamano alla mente la funzione originaria  della rocca. Analogamente all’Arsenale di Venezia, la Serenissima disponeva così le palle, in origine di pietra poi sostituite da quelle in lega di ferro. Il luogo dove le conservava o meglio le esponeva per richiamare l’attenzione degli avversari durante le visite degli ambasciatori stranieri era chiamato Giardino delle Bombarde.

Antichi vasi di terracotta arredano il cortile, oltre alla collezione di agrumi e oleandri, sono presenti begli esemplari di Erba Luigia, Aloysia ctriodora, proprio in omaggio a Maria Luisa di Parma, una verbenacea dall’ntenso profumo di limone, utilizzata per la preparazione di liquori domestici.

Opposto all’ingresso una porta ad arco a tutto sesto conduce a un ponte in muratura, un tempo levatoio, che conserva ancora i resti del rivellino originale, da qui si accede a quello che originariamente era definito il Castellazzo, un ampio spazio cintato da spesse mura, per le esercitazioni militari. La parte sottostante è attraversata da gallerie che conducono alle bocche davanti le quali venivano collocati i cannoni a difesa degli assalti provenienti da valle. Con la riqualificazione dell’edificio e del suo nuovo ruolo a dimora signorile questo luogo assumerà la funzione di brolo, area verde dove giardino, orto e frutteto si integrano a servizio e a vantaggio dei proprietari; furono appunto loro a intuirne le potenzialità, trasformandolo in giardino secondo un impianto tipico di questi spazi. [1]

Un asse principale mediano  conduce al punto di vista principale, saliti in quota la vista panoramica sulla valle è superba, un altro percorso ortogonale a questo ma più breve suddivide l’intera area in quarti. I percorsi sono poi arricchiti da pergole e spalliere per ombreggiare e creare tutori a rose e a altri rampicanti. Statue e pietre scolpite catturano la vista posizionate alla fine dei vialetti. Alla base dei sentieri la Convallaria japonica, ben si presta a separare  il ghiaino dalla terra, in estate il Ceratostigma plumbaginoides impreziosisce il verde con i suoi capolini azzurri. Un percorso perimetrale delimita il giardino in prossimità delle mura fortificate, qualche accesso alla scarpata della valle verso l’Enza chiuso da cancelli in ferro dona di tanto in tanto la percezione del contesto circostante, la vegetazione boscata folta protegge e mitiga il paramento in sassi misti a mattoni della cinta muraria per chi l’osserva da lontano. Ed è proprio in prossimità di questo anello che troviamo le emergenze botaniche più alte e annose del Castellazzo, soprattutto Celtis australis e Taxus baccata, poi Robinie miste a Cercis siliquastrum sulle scarpate.

Notevole la collezione di rose Tea oltre a un importante esemplare di rosa Bracteata, una rosa botanica che ha generato per ibridazione la rosa antica Mermaid, e ancora la r. “Claire Matin”, una sarmentosa moderna sempre in fiore. Le rose del gruppo Tea, hanno origine in Cina, arrivate in Europa a inizio ‘800, hanno avuto una grande diffusione nei giardini per il carattere della loro rifiorenza, la grande varietà di colori, la facilità di creare nuovi ibridi, non sempre profumate, ma quando è presente, ha un carattere profondo e delicato.  Per mesi trasformano quello che era il Castellazzo in un Eden incantato.

 Come accennavo brolo vuol dire frutta e verdura per la famiglia e i suoi  ospiti: meli, albicocchi, peri, melograni, susini e fichi, alcuni sono esemplari del vecchio impianto,  arricchiscono il prato dove una radura accoglie i giochi dei più piccoli e dei ragazzi. L’orto ancora ben curato è intervallato da parcelle coltivate a fiori per le stanze del castello.


[1] ho potuto riscontrare una soluzione analoga nel Castello dei Duchi Pignatelli della Leonessa a San Martino Valle Caudina dove dopo la guerra la Duchessa Melina si impegnò aiutata dalle donne del paese trasformare un arido spazio cintato in orto-giardino trasportando terra nei cesti fino al fortilizio normanno.