Il funzionamento militare della fortificazione
a cura di Corrado Roggeri

Il Castello, così come si presenta oggi, è certamente il frutto di molti interventi successivi che, seppure disparati e talvolta discordanti tra loro a causa del mutare delle esigenze nei diversi periodi storici, permettono una interessante lettura militare del manufatto, che si presenta come una munitissima macchina da guerra.
L’impronta generale è certamente quella quattrocentesca voluta dai primi Torelli, anche se il castello racchiude elementi precedenti, come il mastio (E), o successivi, come la elegante loggia sul torrente. Condottieri e soldati di ventura di comprovata esperienza, i Torelli trasformano il loro possedimento in una fortezza tra le più aggiornate del loro tempo: siamo in quel volgere di Medioevo in cui le armi da fuoco diventano sempre più presenti sui campi di battaglia e negli assedi, e in cui le vecchie fortificazioni dimostrano la loro inadeguatezza nel resistere al potere distruttivo delle artiglierie. Di lì a qualche decennio, anche grazie al genio di alcuni architetti militari del calibro di Francesco di Giorgio Martini, prenderà il via il periodo detto della Transizione in cui si contrasterà la carica dirompente dei proiettili con muri inclinati (scarpe), torrioni circolari e cortine di grande spessore, sperimentazioni che poi sfoceranno nei fronti bastionati rinascimentali. Ma non è ancora quello il momento e i Torelli, un po’ come il loro celebre vicino Pier Maria Rossi a Torrechiara, esplorano per loro conto i modi con cui, da un lato, ottimizzare l’uso delle bombarde per la difesa e, dall’altro, realizzare una fortificazione in grado di resistere alle nuove armi. Per farlo non inventano soluzioni innovative, come farà invece Francesco di Giorgio, ma utilizzano il linguaggio fortificatorio esistente in pianura Padana, declinandolo in forme nuove e realizzando una fortificazione di estremo interesse.
Per capire il funzionamento militare del manufatto non dobbiamo limitarci a osservare quello che oggi è considerato il castello propriamente detto, essendo questo solo una parte di un sistema più vasto che include gli attuali giardini e il borgo, di cui costituisce il nucleo centrale.
Considerando il castello e i giardini che ne proteggono il lato a settentrione (C ), si può notare che in pianta assumono una forma a semicerchio con il diametro parallelo al fiume: si tratta della forma che permette, pur adattandosi alle irregolarità dei luoghi, di racchiudere la più ampia superficie realizzando il minor quantitativo di fortificazioni verso terra e di sfruttare al massimo la linea di difesa forte costituita dal corso d’acqua. Insieme compongono quella che si può definire la parte signorile del complesso.
Il borgo, con la sua cinta (B), protegge gli altri lati del nucleo centrale dal diretto contatto con l’esterno, anticipando bene quella che è la logica difensiva per nuclei successivi della fortificazione. La difesa è infatti immaginata in modo che, all’avanzare della conquista del nemico, sia possibile ritirarsi in una parte più interna del fortilizio. Questa è ben munita verso quella appena caduta, la quale, invece, non deve garantire alcuna protezione a chi si è tanto impegnato nella conquista.
Il lato orientale doveva essere ritenuto già abbastanza forte grazie alla presenza del torrente, mentre verso terra, come anticipato, sono il borgo e l’ala dei giardini a costituire la prima linea difensiva. In origine questa porzione di fortilizio non ospitava i giardini, ma probabilmente accoglieva baraccamenti e una bassa corte al servizio dell’attività di condottieri dei Torelli, come poi fece in seguito e come testimonia l’appellativo di castellazzo con cui è citato talvolta (A). Interessante notare come quest’ultimo si estrofletta rispetto alla cortina dell’adiacente borgo, fatto che permette un accesso totalmente indipendente dal controllo del paese da cui si può chiedere e ricevere soccorso per gli occupanti del castello. Ciò può tornare utile sia nel caso in cui i civili siano in rivolta contro il loro signore, sia nel caso in cui il borgo sia caduto in mano nemica. Analogamente funziona il borgo in caso di disordini delle truppe o di conquista nemica del castellazzo.
La seconda linea di difesa è costituita dal castello vero e proprio (D): le sue cortine sono potenti, di fortissimo spessore per resistere ai colpi dell’artiglieria e con la cima delle torri alla medesima quota dei camminamenti; questo le sottrae come bersaglio ai colpi delle bombarde e permette al contempo la veloce movimentazione di materiali e uomini per tutto il perimetro, secondo le più moderne teorie dell’epoca. L’imponenza dei fronti è dovuta alla inusuale ampiezza delle torri e, soprattutto, alla presenza del fossato secco, che le innalza di ulteriori nove metri rispetto ai quindici fuori terra. Il fossato è elemento di grande importanza difensiva perché impedisce l’avvicinamento diretto alle mura e alle porte da parte dell’avversario che quindi, per scalarle, abbatterle o minarle, deve scendere in esso. Il fossato secco è particolarmente insidioso da questo punto di vista: innalza infatti considerevolmente l’altezza da scalare senza presentare una fortificazione maggiormente alta ed esposta fuori terra, e costituisce una trappola per chi vi discende che, faticando a risalire grazie alla ripidezza dei muri di controscarpa (quelli opposti alle mura del castello), è facile bersaglio per i difensori. Per avere un fossato di maggiore ampiezza e per proteggere meglio le porte, punto debole per eccellenza in un cortina, sono presenti dei rivellini, sorte di isole di transito a metà del fossato. Questi nascondono i varchi al tiro diretto degli attaccanti e permettono di duplicare le difese lungo la via d’accesso, raddoppiando ponti levatoi, saracinesche e portoni (difesa passiva). Inoltre costituiscono una posizione avanzata per bersagliare anche lateralmente chi si sia introdotto nel fossato, posizione che diventa inutile se conquistata perché più bassa delle mura principali e aperta verso di esse (difesa attiva). Interessante notare che, come spesso accade, il lato ritenuto meno sicuro, perché dotato di un fossato più ampio e di rivellini più muniti, sia quello verso il borgo, fatto che ben restituisce la mentalità e la considerazione che un signore medievale aveva dei suoi sudditi.
Il numero e la disposizione dei rivellini è rivelatore dell’esistenza di una terza linea difensiva che è anche compartimentazione funzionale all’interno del castello stesso: è evidente, infatti, che due coppie di accessi contraddicono ogni logica, laddove è noto che costituiscono punti deboli della difesa e che devono essere fortificati con grande sforzo tecnico ed economico. Questo è vero a meno che, come in questo caso, non vi siano più importanti ragioni difensive e funzionali a cui ottemperare. Delle due coppie di ingressi quelli più verso il fiume danno accesso rispettivamente dal castellazzo e dal borgo alla corte principale del castello, sulla quale si affacciano le ali residenziali del complesso. I due ingressi più verso terra, invece, danno accesso ad un cortiletto, detto corticella, posto all’estremo nord occidentale del castello che funziona apparentemente solo come uno snodo tra i rivellini. Analizzando lo schema funzionale così descritto è però possibile notare un’evidente analogia con quanto in quegli anni propone, seppure su scala totalmente differente e con una maggiore regolarità di pianta, il Castello Sforzesco, che i Torelli certamente conoscevano in quanto al soldo del duca di Milano. Il castellazzo di Montechiarugolo ripropone funzione e proporzioni rispetto al totale della Piazza d’Armi milanese (pari alla metà del complesso), anche se differisce per la sua collocazione rispetto all’abitato; la corte ha la medesima funzione della Corte Ducale; i corpi di fabbrica attorno alla corticella il medesimo ruolo tattico della Rocchetta, ovvero un ulteriore nucleo di difesa. Naturale dunque che, per poter continuare a mantenere un contatto con l’esterno – il lato da cui poteva arrivare il soccorso – questo ridotto difensivo presentasse i propri collegamenti indipendenti al castellazzo e al borgo, in modo da potersi garantire l’accesso a quelli anche in caso di caduta della corte e delle sue porte.
In questo ulteriore nucleo di difesa è stata inglobata la precedente torre maestra (E) che, se da un lato costituisce l’estremo elemento di difesa degli occupanti, dall’altro è il principale elemento di offesa e di controllo che la corticella esercita verso i potenziali assalitori che si fossero spinti sino alla conquista dell’ala residenziale.
Riassumendo, si può dire che Montechiarugolo è un’imponente macchina da guerra aggiornata secondo i più avanzati precetti fortificatori del primo Quattrocento e che questo impianto ha dato forma al complesso così come ancora oggi lo vediamo. L’imponente apparato del castello, studiato per sfruttare le artiglierie e contrastare quelle degli attaccanti, organizzato per nuclei di difesa successivi, doveva all’epoca sembrare davvero magistralmente congegnato, dissuadendo ogni possibile velleità di conquista. Infatti la migliore fortezza non è quella che resiste agli attacchi, ma quella che non viene mai attaccata perché ritenuta troppo difficile da conquistare.